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venerdì 1 maggio 2015

C'era una volta la mitica YBR

Era il 2005, io ancora giravo con il mio cinquantino e pensavo già alla prima moto.
Non ero e non sono uno smanettone, quindi i sogni da sedicenni come l'intramontabile RS125 o la Cagiva Mito non mi sfiorarono nemmeno.
Ero già un tipo un po' alternativo, uno di quelli affascinati da ciò che agli altri non piace. E, col senno di poi, non posso dare torto a nessuno, se la Yamaha YBR125 non piaceva ad altri che a me. Era un pezzo di ferro con poche pretese, ma da quando la vidi capii subito che sarebbe stata la mia moto: quella con cui avrei imparato a mettere e scalare le marce, e quella con cui mi sarei avventurato per le prime grandi strade della mia vita.

Era veramente uno schifo, quella moto. Non arrivava neanche ai cento all'ora. Aveva cali di potenza imbarazzanti e in salita bisognava mettere la seconda, altrimenti si bloccava a metà strada. Ma era la mia prima moto, e per me era epica. Lo è ancora, a dire la verità: quando ci ripenso, sento la nostalgia che si prova quando si ripensa al primo amore. E, anche se era uno schifo, la mia moto era davvero tanta roba. A un certo punto ci misi pure il bauletto - roba da sfigati, sono perfettamente d'accordo, ma non me ne poteva fregare di meno. Il mio spirito è sempre stato questo.
L'ho tenuta quattro anni e mi ha portato in giro per circa 27.000km. Fatti quasi tutti nell'ultimo anno, quando ormai avevo preso il via e aspettavo solo la domenica per scappare per le strade della mia terra. Prima di allora, non ero un grande "viaggiatore": complici anche le (giuste) paure dei miei, non mi ero mai allontanato dalla mia zona. Poi, sempre insieme a un mio amico con uno Sportcity 200 che ancora gira allegramente, cominciammo a spingerci verso paesi nuovi e vie sconosciute, e mi resi conto che era ciò che mi piaceva di più. Capii che era il mio modo per avere un po' di libertà dalla regolarità di tutti i giorni - e lo è ancora, quando innesto la prima e butto giù la visiera nelle giornate in cui c'è un bel sole.

Una volta, era marzo, partimmo verso le dieci di mattina, direzione Rocca Sinibalda. Arrivati alla svolta che dalla Salaria ci avrebbe portato al borgo, ci dicemmo che non sarebbe stato male arrivare fino a Cittaducale, visto che se ne parlava da un po'. E, passeggiando proprio per i vicoli di Cittaducale, e parlando dei cartelli stradali visti dopo Rieti, arrivammo alla conclusione che Amatrice non era poi così lontana. E allora via, superando Antrodoco e le gole del Velino. L'ultimo tratto è in salita, o forse una specie di falsopiano: la mia YBR rallentò, e rallentò ancora, fino quasi a spegnersi. "C***o", mi dissi, "guarda te se devo farmela a motore spento in discesa fino a casa..."
E invece la spensi, ripartì e arrivammo ad Amatrice, intorno alle due, in tempo per una sontuosa amatriciana e delle foto pazzesche con i Monti della Laga lì dietro, a fare da sfondo. Al ritorno ci accompagnò un cielo grigio da far paura, ma la giornata era stata troppo bella perché piovesse.

Un'altra volta decidemmo di arrampicarci fino a Rocca di Papa per andare alla sagra della polenta. Bel paese, bella festa e cibo grandioso, ma un freddo cane come non si sentiva da tempo. Che poi, quando faceva freddo, la mia YBR non partiva mai... c'era la pedalina oltre allo starter elettronico, ma spesso non funzionava neanche quella. E che si faceva in quei casi? Ci si buttava a razzo in discesa, seconda innestata e frizione tirata, poi si lasciava la frizione e si sperava si accendesse. Feci così anche quella volta: nessun problema, tranne la strada gelata, ma andava benissimo così. E salimmo fino ai Campi di Annibale, in cima alla montagna, con una piccola cascata di ghiaccio e addirittura la neve. Una delle migliori foto-cartolina che abbia mai scattato.

C'era una volta la mitica YBR, eh già. E la prima moto è come il primo amore: magari è sbagliata, magari non è ancora quella giusta, ma non puoi che ricordarla con tanta nostalgia. Era uno spettacolo, la mia YBR. Certo, poi ho avuto roba molto più grande che mi ha portato in posti che con il 125 non mi sarei neanche potuto sognare, ma nel suo piccolo era veramente tanta roba. E mi ha insegnato a guardare alla strada come a una grandiosa opportunità di divertirsi e di uscire dalle strade di tutti i giorni. Sarà per questo che, da quando ho cominciato a esplorare i dintorni, passare la domenica a casa mi va sempre più stretto.
E me ne frego anche del freddo, se c'è una bella strada.

Auguro una YBR a tutti i neomotociclisti. Altro che i missili depotenziati, una moto così è tutta un'altra cosa.



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