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lunedì 25 maggio 2015

L'itinerario: Subiaco, Olevano Romano e i borghi più alti del Lazio


Era da tempo che volevo fare un giro dalle parti di Subiaco, un posto di cui ho sempre sentito parlare benissimo per diversi motivi: le strade, i panorami, le cose da vedere. Una domenica di maggio, perciò, mi è sembrato il momento giusto per togliermi questo sfizio... e quindi via con il mio CB, pieno di benzina e giubbotto più leggero, che quello di pelle ormai è nell'armadio.
Imbocco, come molte altre volte, la via Tiburtina, che in meno di mezz'ora mi porta a Tivoli. Io ormai la conosco bene (ne ho già parlato in questo altro post) ma, per chi non ci fosse mai stato, merita di sicuro una visita, per lo meno per vedere Villa d'Este e fare una passeggiata nel centro storico. Da lì, per cambiare strada rispetto al solito, non proseguo per Vicovaro ma prendo la via Empolitana che scorre pacifica, costeggiando bei paesi dove, avendo tempo, bisogna fermarsi almeno una volta. Fra questi c'è Ciciliano, con il castello dei marchesi Theodoli, che spicca in cima al borgo ed è tra i punti di maggiore attrattiva della zona. Ma anche Cerreto Laziale, suggestivo centro del XIV secolo dove fare una passeggiata tra le case è sempre un piacere. All'altezza di Cerreto, prima di arrivare a Gerano, si prende la SP47/a: l'asfalto non è il massimo, ma tra belle curve e tornanti degni delle migliori montagne si arriva poco tempo a Subiaco, passando accanto a Canterano, Rocca di Mezzo e Rocca Canterano.
Fontanile lungo la via Empolitana

Il bello di tutti questi borghi è che si può scegliere di fermarsi in uno qualsiasi e trovare comunque qualcosa di bello da vedere. Lungo la strada, i cartelli gialli che indicano le attrazioni principali si susseguono uno dietro l'altro, e lasciano un po' di amaro in bocca per non avere il tempo di andare a vedere tutto. Vabbè, bisognerà tornarci. Credo sia una promessa un po' obbligata: da qui al prossimo inverno sono sicuro che le occasioni non mi mancheranno.

Una volta a Subiaco, vista l'ora, scelgo di non fermarmi a fare un giro in centro: ho deciso di andare a visitare i due monasteri benedettini e, dato che l'orario di visita termina alle 12.30, rimando a un'altra volta la passeggiata per il centro, che ha tantissimo da offrire, essendo parte del club dei borghi più belli d'Italia. Seguo le indicazioni per i monasteri e, in pochi minuti, arrivo al monastero di Santa Scolastica, passando prima accanto ai resti della villa di Nerone, costruita intorno al 60 d.C. Per chi è appassionato di escursionismo, da Subiaco si può anche salire ai monasteri lungo un percorso a piedi, molto frequentato nei giorni festivi.
Il monastero di San Benedetto a Subiaco

Sia nel monastero di Santa Scolastica sia in quello di San Benedetto è possibile seguire visite guidate gratuite, che partono ogni mezz'ora. Il primo, l'unico superstite dei 13 fondati da San Benedetto nell'area della Valle dell'Aniene, è costruito intorno a tre chiostri in stili differenti (romanico, gotico e rinascimentale), tutti perfettamente distinguibili e molto particolari, e alla chiesa neoclassica progettata dal Quarenghi. Il secondo è un gioiello di architettura incastonato sul monte Taleo. È qui che si trova la grotta dove dove San Benedetto passò i suoi tre anni di eremitaggio, conosciuta come Sacro Speco e inserita nel fitto complesso di cappelle e ambienti che compongono il monastero su più livelli. Grandi e coloratissimi affreschi (datati dal IX al XIV secolo) riempiono ogni spazio, ed è d'obbligo fermarsi a guardare ogni angolo come un'opera d'arte a sé.

Lungo la SP45/a tra Subiaco e Jenne
Finito il momento culturale, mi rimetto il giubbotto da moto e ricomincio a ragionare in termini di curve. La zona è piena di strade pazzesche, che sono il mio obiettivo principale della giornata. Dai monasteri basta proseguire dritti verso Jenne lungo la SP45/a per trovarsi in una successione di curve strettissime incastonate tra le montagne. Dura solo una decina di chilometri, ma sembrano molti di più, per quanto ci si diverte. Da Jenne in poi, invece, la strada è sempre piacevole, ma più larga. Tutta la zona è circondata dai Monti Simbruini ed è tutelata come Parco Naturale Regionale: i panorami sono grandiosi, forse non coloratissimi come in certe zone dell'Umbria (come lungo la strada per Castelluccio di Norcia), ma comunque fantastici. Bisogna per forza fermarsi a scattare qualche foto, approfittando di un cielo un po' più limpido che illumina le carene rosse del CB in maniera favolosa.


La strada finisce agli Altipiani di Arcinazzo, una località turistica molto frequentata da motociclisti, oltre che dagli appassionati di montagna: a due passi da lì e da Subiaco, infatti, si trova il Monte Livata, che con i suoi 1.429 metri è meta di numerosissimi turisti soprattutto d'inverno, quando è imbiancato di neve.

Dagli Altipiani di Arcinazzo prendo la SP20, parte dell'itinerario enologico noto come Strada del Vino Cesanese, un progetto finalizzato a promuovere il territorio e i suoi due vini (il Cesanese docg di Piglio e il Cesanese doc di Affile), entrambi ottenuti dalla vinificazione del vitigno autoctono Cesanese. La SP20 scorre con non molte curve e con un asfalto non impeccabile fino a Piglio: non il massimo, ma i paesaggi meritano di sicuro un giro. Il vero problema è il tratto successivo, lungo la SS155: ho contato nove autovelox in pochi chilometri di strada tra Serrone e Primo Ponte, tutti ovviamente tarati sui 50km/h. Okay, si passa attraverso piccoli centri abitati e quindi la prudenza è d'obbligo... ma nove autovelox mi sembrano veramente troppi. E spero di non averne dimenticato nessuno!

A parte questi piccoli (...) inconvenienti, la strada scorre bene tra campagne e paesini, fin quando non giro a destra al bivio con la SP61a. Seguo infatti le indicazioni per Olevano Romano, altro borgo assolutamente da visitare in una giornata così. Lascio la moto all'inizio del centro storico, e da lì mi arrampico (è proprio il caso di dirlo) tra le viuzze che salgono, salgono e salgono ancora tra le case. 


Olevano Romano
La pietra è il tratto comune di Olevano: le case sono tutte in pietra e danno vita, insieme alla gigantesca cornice delle "mura ciclopiche", a un paese molto suggestivo, che sale fino al suo punto più alto, cioè la torre medievale del Castello. Da lì si gode di una vista mozzafiato a 360 gradi sui Monti Lepini a sud, la Valle del Sacco e l'inizio della Pianura Pontina, i Monti Prenestini a Ovest, i Monti Simbruini a Nord e il Monte Scalambra a Est. Bisogna salire gradini enormi per arrivare lassù, ma ne vale assolutamente la pena: la vista ripaga di ogni sforzo, garantito.


Il panorama dalla fortezza di Olevano Romano

Nel corso del giro bisogna anche trovare il tempo, almeno quello di un caffè, per Bellegra: a pochi minuti da Olevano Romano, è un altro paese frequentatissimo da motociclisti e famoso per le fantastiche vedute di cui gode. Tant'è che, appena arrivato, vengo accolto da una scritta, in stile hollywoodiano, che ricorda il soprannome di Bellegra: "Città dei panorami". E i punti panoramici non mancano, né nel centro storico né lungo la strada principale: in particolare, mi fermo a bere un caffè su una terrazza che si affaccia sulla valle sottostante, approfittando delle panchine vuote pure in un giorno di festa. Ci potrei restare delle ore, lì al sole.
Ma alla fine riparto, direzione San Vito Romano e poi Capranica Prenestina. Non mi fermo perché si è fatta già una certa ora, ma sono altri due centri dove di sicuro tornerò. Entrambi sono arroccati in posizione panoramica rispetto alla Valle del Sacco, che dominano dall'alto tra boschi di castagni e campagne coltivate. Capranica, in particolare, si trova sul punto più alto dei Monti Prenestini e fa concorrenza a Guadagnolo, poco distante, il paese più alto del Lazio. Mi viene in mente di allungare di 10km il mio itinerario e salire fin lassù, ma il cielo non più limpidissimo mi consiglia di lasciar perdere: ci tornerò in una giornata senza nuvole né foschia, per approfittare di una delle viste più impressionanti di tutta la Regione.
Lungo la Strada del Vino Cesanese

La strada mi porta fino a Palestrina, l'antica Praeneste che dà il nome alla via Prenestina: è un altro centro che conosco bene e dove quindi non mi fermo, anche se consiglio a tutti di prendersi del tempo per visitarlo. Per gli appassionati di archeologia è d'obbligo un passaggio per il percorso archeologico "Archeopalestrina", che attraversa tutto il centro storico da Piazza della Pace alla Porta del Sole, passando per l'antico ghetto, le mura, il Tempio della Fortuna Primigenia e altri punti d'interesse.
Da Palestrina si possono scegliere varie strade. Per chi torna a Roma c'è la Prenestina, che in tre quarti d'ora (ma solo quando non c'è traffico) riporta verso la Capitale attraversando la periferia. Cerco un itinerario con qualche pretesa in più, e allora imbocco la via Pedemontana verso Gallicano nel Lazio e poi la SP51/a, che torna alle porte di Tivoli. In questo modo approfitto di un altro po' di strada panoramica, tra boschi verdissimi che mi accompagnano dove il mio itinerario era iniziato. Non c'è molto da vedere lungo questo percorso, ma vale la pena lasciarsi portare dalla moto tra i colori della prima parte della primavera. Poi, una volta tornato sulla Tiburtina, devo solo sgusciare in mezzo al solito traffico e tornare a casa.

L'itinerario è di media lunghezza: siamo intorno ai 180km, tutti percorsi in strade molto piacevoli sia dal punto di vista del paesaggio sia per quanto riguarda la guida della moto. La particolarità è che, a parte alcune mete fisse e praticamente obbligate (come Subiaco e Olevano Romano), si può scegliere senza timore di sbagliare altre soste, più o meno lunghe a seconda del tempo a disposizione. Due giorni sono l'ideale, se si vuole anche fare qualche escursione o visitare un paio di paesi in più. L'asfalto è buono quasi ovunque, a parte alcuni tratti meno curati ma che, comunque, non rendono il percorso difficile per nessuna moto. Eviterei solo il periodo invernale, quando ho qualche dubbio sulla tenuta delle strade e sul pericolo di ghiaccio, soprattutto di mattina. Eccezionalmente non mi esprimo sulla gastronomia perché non ho avuto modo di sperimentare piatti dei posti dove sono stato: se qualcuno ha consigli su ristoranti/trattorie/paninari da provare, sarò felicissimo di tornare per seguirli!






venerdì 1 maggio 2015

C'era una volta la mitica YBR

Era il 2005, io ancora giravo con il mio cinquantino e pensavo già alla prima moto.
Non ero e non sono uno smanettone, quindi i sogni da sedicenni come l'intramontabile RS125 o la Cagiva Mito non mi sfiorarono nemmeno.
Ero già un tipo un po' alternativo, uno di quelli affascinati da ciò che agli altri non piace. E, col senno di poi, non posso dare torto a nessuno, se la Yamaha YBR125 non piaceva ad altri che a me. Era un pezzo di ferro con poche pretese, ma da quando la vidi capii subito che sarebbe stata la mia moto: quella con cui avrei imparato a mettere e scalare le marce, e quella con cui mi sarei avventurato per le prime grandi strade della mia vita.

Era veramente uno schifo, quella moto. Non arrivava neanche ai cento all'ora. Aveva cali di potenza imbarazzanti e in salita bisognava mettere la seconda, altrimenti si bloccava a metà strada. Ma era la mia prima moto, e per me era epica. Lo è ancora, a dire la verità: quando ci ripenso, sento la nostalgia che si prova quando si ripensa al primo amore. E, anche se era uno schifo, la mia moto era davvero tanta roba. A un certo punto ci misi pure il bauletto - roba da sfigati, sono perfettamente d'accordo, ma non me ne poteva fregare di meno. Il mio spirito è sempre stato questo.
L'ho tenuta quattro anni e mi ha portato in giro per circa 27.000km. Fatti quasi tutti nell'ultimo anno, quando ormai avevo preso il via e aspettavo solo la domenica per scappare per le strade della mia terra. Prima di allora, non ero un grande "viaggiatore": complici anche le (giuste) paure dei miei, non mi ero mai allontanato dalla mia zona. Poi, sempre insieme a un mio amico con uno Sportcity 200 che ancora gira allegramente, cominciammo a spingerci verso paesi nuovi e vie sconosciute, e mi resi conto che era ciò che mi piaceva di più. Capii che era il mio modo per avere un po' di libertà dalla regolarità di tutti i giorni - e lo è ancora, quando innesto la prima e butto giù la visiera nelle giornate in cui c'è un bel sole.

Una volta, era marzo, partimmo verso le dieci di mattina, direzione Rocca Sinibalda. Arrivati alla svolta che dalla Salaria ci avrebbe portato al borgo, ci dicemmo che non sarebbe stato male arrivare fino a Cittaducale, visto che se ne parlava da un po'. E, passeggiando proprio per i vicoli di Cittaducale, e parlando dei cartelli stradali visti dopo Rieti, arrivammo alla conclusione che Amatrice non era poi così lontana. E allora via, superando Antrodoco e le gole del Velino. L'ultimo tratto è in salita, o forse una specie di falsopiano: la mia YBR rallentò, e rallentò ancora, fino quasi a spegnersi. "C***o", mi dissi, "guarda te se devo farmela a motore spento in discesa fino a casa..."
E invece la spensi, ripartì e arrivammo ad Amatrice, intorno alle due, in tempo per una sontuosa amatriciana e delle foto pazzesche con i Monti della Laga lì dietro, a fare da sfondo. Al ritorno ci accompagnò un cielo grigio da far paura, ma la giornata era stata troppo bella perché piovesse.

Un'altra volta decidemmo di arrampicarci fino a Rocca di Papa per andare alla sagra della polenta. Bel paese, bella festa e cibo grandioso, ma un freddo cane come non si sentiva da tempo. Che poi, quando faceva freddo, la mia YBR non partiva mai... c'era la pedalina oltre allo starter elettronico, ma spesso non funzionava neanche quella. E che si faceva in quei casi? Ci si buttava a razzo in discesa, seconda innestata e frizione tirata, poi si lasciava la frizione e si sperava si accendesse. Feci così anche quella volta: nessun problema, tranne la strada gelata, ma andava benissimo così. E salimmo fino ai Campi di Annibale, in cima alla montagna, con una piccola cascata di ghiaccio e addirittura la neve. Una delle migliori foto-cartolina che abbia mai scattato.

C'era una volta la mitica YBR, eh già. E la prima moto è come il primo amore: magari è sbagliata, magari non è ancora quella giusta, ma non puoi che ricordarla con tanta nostalgia. Era uno spettacolo, la mia YBR. Certo, poi ho avuto roba molto più grande che mi ha portato in posti che con il 125 non mi sarei neanche potuto sognare, ma nel suo piccolo era veramente tanta roba. E mi ha insegnato a guardare alla strada come a una grandiosa opportunità di divertirsi e di uscire dalle strade di tutti i giorni. Sarà per questo che, da quando ho cominciato a esplorare i dintorni, passare la domenica a casa mi va sempre più stretto.
E me ne frego anche del freddo, se c'è una bella strada.

Auguro una YBR a tutti i neomotociclisti. Altro che i missili depotenziati, una moto così è tutta un'altra cosa.



lunedì 27 aprile 2015

L'importanza del saluto tra motociclisti

Andare in moto è un po' come essere parte di una grande comunità rumorosa anche quando si viaggia da soli. È come sentirsi sempre accompagnati da qualcuno, anche nel bel mezzo del nulla.
Ci ho fatto caso molte volte: dovunque ci sono moto parcheggiate - a meno che non si tratti dei classici motociclisti della domenica con la tuta di pelle anche ad agosto, che si sentono troppo fighi per scambiare due chiacchiere - è veramente difficile rimanere da soli. Si finisce sempre per dirsi due parole, consigliarsi strade e itinerari, qualche volta anche scattarsi una foto.
Ci si conosceva prima? Di solito no.
Ci si rivedrà dopo? Quasi sicuramente no.
E allora perché salutarsi, scambiare due parole, condividere pensieri ed esperienze? Perché siamo tutti un'unica comunità di persone un po' fuori di testa, che preferiscono lanciarsi nel freddo avvolti solo da un giubbotto di pelle piuttosto che chiudersi fra quattro pezzi di metallo su quattro ruote. Abbiamo moto enormi oppure piccoli 125 che neanche arrivano ai 90 all'ora in discesa, ma ce ne freghiamo delle differenze. Anche se uno non va mai più lontano di 50 chilometri da casa e un altro si è fatto tutta la Strada della Morte in Bolivia, in fondo ci sentiamo parte dello stesso gruppo.
Un esempio? Quando capita - purtroppo molto spesso - di vedere una moto a terra, è difficile che non ci sia almeno un altro motociclista lì vicino, anche solo per chiedere a quello caduto se ha bisogno di una mano a tirare su il suo cavallo. Non mi è mai capitato di averne bisogno, ma sono sicuro che se avessi bisogno di un passaggio al primo benzinaio perché sono rimasto a secco, non avrei troppi problemi a trovare un altro motociclista che mi faccia salire e mi dia uno strappo. Non ne sarei così certo se rimanessi a piedi con la mia macchina.
E allora il saluto tra motociclisti non è altro che il saluto tra gente che si capisce al volo.
Come ci si saluta in moto? Il gesto classico è quello delle due dita a V (il tipico segno di vittoria): si stacca un attimo la mano sinistra dalla frizione e si alzano le due dita, oppure si sporge un po' la mano verso il basso sempre con le dita in vista. Stendere la mano aperta, invece, significa "fai attenzione": si usa nei casi di strada dissestata, asfalto rovinato e simili.



Ci si può salutare con un lampeggio dei fari: occhio però, l'art. 153 C.d.S. prevede una multa per uso improprio dei fari. Bisogna essere veramente sfortunati a trovare una pattuglia tanto inflessibile da multare due motociclisti che si lampeggiano, ma non metterei limiti al peggio. Il lampeggio è così tipico che la maggior parte dei post nei forum che parlano di moto si chiudono proprio con un "lamps", saluto tipico che ricorda i fari della moto.
Ci si può anche salutare suonando il clacson, ma personalmente non mi fa impazzire. Vada come vada, credo che salutarsi sia uno dei gesti che più rendono l'idea del fantastico senso di comunità che lega tutti i motociclisti. Chiaramente, è impossibile farlo in città: staremmo sempre con le dita alzate, e chissà che incidenti. Ma appena esco dal caos urbano mi piace salutare, mi dà l'idea di essere veramente in viaggio, anche se sono a pochi chilometri da casa. E per me il viaggio è il senso stesso dell'andare in moto, non importa quanto mi allontano. Se poi mi trovo su delle strade fatte per le moto, come sul passo della Cisa o in mezzo alle montagne in Abruzzo, beh, lì è veramente il massimo.
Chi saluta? Di solito nessuna sorpresa dai mototuristi con naked e crossover: sono sempre i primi ad alzare la mano, o a lampeggiare, o ancora ad attaccare bottone quando ci si ferma a prendere un caffè in qualche paesino sperduto. Meno disponibili, a volte, i motociclisti che fanno parte di "mondi a parte", come le Harley o le Ducati, che spesso tendono a salutarsi solo tra loro. I peggiori sono quelli che hanno moto pazzesche e superaccessoriate solo per fare gli splendidi al bar, sfoggiando giubbotti firmati e fendinebbia. Poi scopri che hanno accumulato 3.000km sul contachilometri in cinque anni, ma questa è un'altra storia. Sugli scooter le versioni sono diverse: il "vero motociclista" non saluterebbe mai uno scooterista ma, se devo dire la mia, mi fa piacere salutare qualcuno che, magari, con un piccolo SH150 si arrampica per strade di montagna dove anche una moto molto più grande avrebbe qualche problema. Credo che il saluto sia un modo per riconoscersi l'un l'altro nel piacere di viaggiare e nella voglia d'avventura, e in fondo chissenefrega di quanti cavalli o di quale mezzo hai sotto il sedere.
Viaggiando per l'Italia ho salutato un'infinità di motociclisti. Soprattutto nelle strade più solitarie, dove si incrociano pochissime persone, è sempre un piacere scambiarsi un gesto che ci ricorda che siamo tutti uguali, su una striscia di asfalto. Mi fa sentire bene, e pure un po' figo, a dirla tutta.
Quindi, la prossima volta che incrociate un'altra moto, ricordatevi di salutare!
Lamps!

lunedì 6 aprile 2015

L'itinerario: da Roma a Castelluccio di Norcia tra Lazio, Marche e Umbria


C'è un paese, Castelluccio, frazione di Norcia (PG), che è famoso in tutto il Centro Italia per almeno tre cose: la fioritura, le lenticchie e le strade.
La fioritura è un magnifico fenomeno che si verifica ogni anno, tra la fine di maggio e gli inizi di luglio, quando il Pian Grande e il Pian Perduto - gli altipiani di Castelluccio - si colorano delle mille sfumature delle specie floreali che dipingono (è proprio il caso di dirlo) i campi e i pascoli  ai piedi del paese. Narcisi, violette, ranuncoli, papaveri e altri fiori sbocciano, trasformando il paesaggio in un grandioso quadro che richiama migliaia di turisti e le loro macchine fotografiche. Chiaramente, ogni anno il tempo della fioritura varia, a seconda delle condizioni climatiche, anche se la festa dedicata a questo fantastico evento naturale cade sempre tra la terza e l'ultima settimana di giugno.
La fioritura a Castelluccio di Norcia
Le lenticchie sono il prodotto tipico del luogo. È possibile comprarle nei piccoli negozi nella piazza principale, o anche addentrarsi lungo le vie in salita del paese e acquistarle da una signora anziana del posto, che le vende al lato della strada, con la sua bancarella. Per come sono fatto io, non ho avuto dubbi su quale scegliere: la signora mi ha anche dato molti consigli su come utilizzarle, e non ho esitato a provare anche del farro. Ne vale la pena, assolutamente. In più, inutile dire che i salumi sono una specialità da non perdere: Norcia, di cui Castelluccio è frazione, è riconosciuta a livello internazionale come un centro d'eccellenza per quanto riguarda salami, salsicce e affini. Su tutti, consiglio il salame di cervo, una tipicità umbra che non delude mai.

Le strade sono l'aspetto che, ovviamente, mi attrae di più. Andare e tornare da Castelluccio significa percorrere strade magnifiche, tra Lazio, Marche e Umbria, che non finiscono mai di sorprendere chi, come me, si gode più il viaggio della meta. Difficile che sia così, secondo me, se si viaggia in auto: le quattro ruote, i finestrini e l'aria condizionata sono poco compatibili con quello spirito di "avventura" che muove ogni motociclista e lo spinge ad arrampicarsi per strade piene di curve anche quando fa un freddo cane. Siamo fatti così, è il nostro bello, e il nostro brutto solo per chi non ha mai fatto un giro in moto.
Parto da casa mia e, come spesso succede, mi dirigo verso la via Salaria. Bisogna percorrerla per parecchi chilometri, superando Rieti e altri bei posti che, avendo tempo (l'ideale è una gita di due giorni), consiglio assolutamente di visitare: su tutti Cittaducale,
Lo svincolo per Amatrice, con i Monti della Laga sullo
sfondo e il Lago di Campotosto (nascosto) sulla destra
piacevole centro medievale, e Amatrice, famosa per gli spaghetti (sì, gli spaghetti, non i bucatini) all'amatriciana, oltre che per le sue vedute pazzesche sui Monti della Laga e sul Lago di Campotosto, distante pochi chilometri. La Salaria passa lenta, pacifica, e dopo Rieti c'è il fiume Velino che scorre a lato della statale, accompagnandomi fino a oltre Antrodoco. Lì si aprono le Gole del Velino, un gran bel passaggio attraverso le montagne incastonato tra il Terminillo e la parte settentrionale della catena di Monte Velino. Lo spettacolo della natura, qui, è eccezionale, sopratuttto d'estate, quando la vegetazione è al massimo dello splendore e si somma ai fenomeni carsici che, da soli, valgono la pena di una gita.
Tra Antrodoco e Posta,
tra le gole del Velino
La giornata, iniziata con un gran sole, inizia a non promettere niente di buono: i nuvoloni neri si fanno sempre più compatti man mano che si sale di quota; la temperatura si abbassa e il vento diventa sempre più forte. E allora diventa difficile andare a più di 80 km/h, anche perché la Salaria è spazzata da raffiche di vento molto forti che, in un paio di occasioni, mi fanno sbandare fino quasi a finire nella corsia opposta. In ogni caso, occhio agli autovelox, ce ne sono parecchi: uno dopo Osteria Nuova, due ad Antrodoco, altri sparsi lungo il percorso. E ogni tanto capitano anche pattuglie della Stradale, soprattutto nel fine settimana, quindi non conviene correre se non ci si vuole rovinare l'uscita con una multa inutile.
Superate Amatrice e Accumoli, la Salaria entra nelle Marche, al chilometro 144,950. Qui il cielo è completamente nero, fa freddissimo, inizia anche a piovigginare, e penso seriamente di girarmi e tornare indietro. Ma proprio non mi va...
Il confine di Regione tra Lazio
e Marche lungo la via Salaria
E allora mi infilo il fantastico scaldacollo termico della Tucano Urbano (non fa passare assolutamente nulla, consigliatissimo) e i sottoguanti (presi da Decathlon, sono quelli da mettere sotto i guanti da sci, sono fini e riparano benissimo) e riparto, sperando che il tempo migliori. Quasi ad Arquata di Tronto si prende una svolta a sinistra. La SP129 è piena di curve e, quindi, preferibile, ma con questo tempo preferisco imboccare la SS685 Tre Valli Umbre che, con poche curve e lunghi tratti in galleria, mi porta via dal versante marchigiano e dalle nuvole per arrivare in Umbria, dove con sorpresa trovo un gran sole splendente... a pochi chilometri da dove pensavo di tornare indietro. Ancora una volta, non posso che ripetermi una grande verità che già conosco: mai farsi spaventare dalle piccole difficoltà, soprattutto in moto, perché il viaggio che c'è davanti probabilmente vale la pena più di un po' di pioggia o di vento.
Nel giro di un quarto d'ora arrivo dalle parti di Norcia, ma prima di entrare in paese giro a destra e imbocco la SP477, che sale per 23km fino a Castelluccio di Norcia. Qui, pian piano, tornano i nuvoloni grigi e, soprattutto, il vento: guidare è davvero difficile, anche perché la mia moto è leggera e soffre molto le raffiche, che in montagna di certo non sono deboli né delicate. Bisogna dire, però, che il paesaggio merita assolutamente di esser visto: la Valnerina è tutta lì sotto e, anche se siamo ancora all'inizio della primavera, i colori della campagna sono già uno spettacolo. Non si può fare a meno di fermarsi quasi a ogni curva, per godersi il panorama e per scattare qualche foto.
Il paesaggio della Valnerina lungo la strada per Castelluccio
Appena iniziato il secondo tratto della SP477, ecco la sorpresa: la neve! Sapevo che qui faceva freddo, ma la neve all'inizio di aprile non me l'aspettavo proprio. La strada non è in ottime condizioni, quindi sono un po' preoccupato per la tenuta della moto, ma basta guidare senza fretta, evitare le buche e tenersi lontani dai margini della strada (dove è più probabile trovare residui di ghiaccio e punti scivolosi), e si sale senza problemi in quota. Scendere sarebbe più problematico, ma è un problema che rimando a dopo pranzo senza soffermarmici troppo.
L'ultimo tratto della strada per Castelluccio,
con i Monti Sibillini imbiancati di neve
I Monti Sibillini sono bianchi, bianchissimi. C'è un sacco di neve, e mi pare il minimo scattare qualche foto... quando mi capiterà di nuovo? L'ultimo tratto di strada è completamente dritto, ma anche molto rovinato, quindi bisogna fare attenzione, soprattutto alle mucche e ai tori che attraversano la strada ma che, per fortuna, si disinteressano totalmente di me e della mia moto. 
Fatte le ultime curve, e ormai a 1.400 metri s.l.m., si arriva in paese. Nella piazza centrale ci sono subito norcinerie e negozi di prodotti tipici. Per comprare salami e altro basta chiedere un consiglio a qualcuno del posto per sapere dove andare, anche se non ci sono grandi differenze: è tutto buono, buonissimo. Non ci si può sbagliare, da queste parti: legumi e salumi sono il loro lavoro, ed è quasi impossibile rimanere delusi. Se poi si passa anche per Norcia, il re dei norcini è Ansuini, che tra l'altro spedisce i propri prodotti in tutta Italia.
Il paese merita sicuramente una visita a piedi. Non c'è molto da vedere, ma le montagne imbiancate sono uno spettacolo magnifico che vale la pena di essere fotografato. Castelluccio è molto gettonato tra gli appassionati di trekking, che proprio da qui partono a piedi per arrampicarsi fino al Lago di Pilato, uno spettacolo della natura dove, ormai da tempo, mi prometto di andare in un weekend d'estate.
I Monti Sibillini dietro Castelluccio
Per pranzare c'è solo l'imbarazzo della scelta: i classici panini con ogni ben di Dio di salumi e formaggi, le zuppe, i primi saporiti e calorici (come gli gnocchi alla castellucciana, con ricotta e salsiccia), le carni allevate nella zona. Sia che si pranzi in piedi con un panino (ottimi quelli di La Vostra Cantina), sia che ci si sieda in una delle osterie di Castelluccio (come ad esempio Lu Soccio, a pochi passi dalla Chiesa di Santa Maria Assunta, visibile solo dall'esterno), è veramente difficile rimanere delusi.

Verso le 3 meno un quarto è ora di riprendere la moto: i chilometri da percorrere sono ancora tanti, e tutta questa neve non mi fa stare molto tranquillo. Penso e ripenso a quale strada fare, poi mi affido alla mia solita, vecchia regola: mai fare due volte la stessa strada. Quindi escludo tornare indietro e passare da Norcia, e mi dirigo verso Visso, quindi rientro nelle Marche. Il confine di regione, neanche a dirlo, è in mezzo alla neve.
Il confine tra Umbria e Marche, a pochi chilometri da Castelluccio
Le mie preoccupazioni svaniscono subito: il sole è alto in cielo, non ci sono più nuvole e, sul versante marchigiano, c'è molta meno neve e la strada è più pulita. Si passa attraverso gole verdissime e strapiombi clamorosi (spesso senza guardrail...), e guidare è uno spettacolo. Ci sono solo troppe curve per godersi veramente il paesaggio: probabilmente il piacere è più per chi sta dietro, ma anche chi guida si diverte tantissimo. La strada scorre bene, passando per Castelsantangelo sul Nera fino ad arrivare a Visso, e da lì si prende la SP209 Valnerina che, nel giro di poco più di 60km, porta fino a Terni attraversando pochissimi centri abitati e molti boschi. La Valnerina, che prende il nome dall'omonima valle, ha un tracciato pieno di curve, poco impegnative ma interessanti, e attraversa paesaggi fantastici nel mezzo delle rocce ai lati della valle del Nera. È uno dei percorsi preferiti dai motociclisti della zona ma anche di quelli, come me, che vengono da più lontano e vogliono godersi una strada piacevole, perfetta per guardarsi intorno scorrendo fino alla città. Anche qui, però, attenzione agli autovelox: sono tanti e tutti tarati sui 50 km/h. Secondo me è follia, ma tant'è, quindi... occhio ai cartelli!
Le cascate delle Marmore
Prima di arrivare a Terni, c'è un'ultima sosta da fare: le cascate delle Marmore. Io già le ho visitate in passato, quindi mi fermo solo per scattare una foto all'altezza di Papigno. Per chi non ci fosse mai stato, è d'obbligo fermarsi al parco delle cascate, dove si può passeggiare nella natura e salire fino in cima alle cascate, da dove si gode di una vista magnifica. Si possono anche fare pic-nic e usufruire di aree di ristoro, il tutto nel rispetto della natura.
Una volta a Terni, bisogna seguire le indicazioni per la Flaminia (SS3) in direzione Narni-Roma, poi quelle per Passo Corese. Senza un navigatore è praticamente impossibile capire dove andare, quindi è meglio chiedere a qualcuno da dove si imbocca la via Ternana: è da qui, infatti, che riprendo la strada per il Lazio, visto che ne ho abbastanza di statali e preferisco godermi le belle curve che si susseguono fino a incrociare di nuovo la via Salaria. La Ternana attraversa piccoli centri come Vascigliano, Configni, Vacone, Cantalupo e Poggio Mirteto scalo; poco prima di Cantalupo c'è anche la deviazione per Casperia, paese fantastico che consiglio assolutamente di andare a vedere, così come Roccantica, che è lì vicino e offre un percorso a piedi nel bosco che racconterò in un altro post.
Arrivato a Passo Corese, sono praticamente a casa. Da lì si può riprendere la Salaria verso Roma, la diramazione per l'Autostrada del Sole che porta a Fiano Romano o ancora percorrere la via della Neve per andare verso Tivoli, Palombara e gli altri paesi dalle mie parti. Nel corso della giornata ho percorso circa 350km, e non posso che dire che ne valeva assolutamente la pena. Gran bel giro, paesaggi fantastici, ottimo cibo. Da motociclista, è una strada che consiglio a chiunque. In alcuni tratti (soprattutto tra Norcia e Castelluccio e in alcune parti della via Ternana) l'asfalto non è certo dei migliori, ma basta un po' di attenzione per andare ovunque. Certo, meglio con una crossover, anche se piccola come la mia, che con una Harley o una supersportiva, ma con un minimo di esperienza non c'è nessun problema.
Ci tornerò d'estate per la fioritura, questo è sicuro!








martedì 31 marzo 2015

La via Tiburtina: dal Lazio all'Abruzzo tra borghi e montagne

Oggi vi parlo di una delle strade che percorro più spesso, e che mi porta fuori dal Lazio nel giro di neanche un'ora: la via Tiburtina. Per essere precisi, "via Tiburtina Valeria": da Tibur, nome romano di Tivoli (la strada nasce proprio per congiungere Roma a Tivoli), e Marco Valerio Massimo Potito, console che ne volle la costruzione nel III secolo a.C.
La via Tiburtina è una delle strade consolari che, da Roma (per la precisione da piazzale Tiburtino, all'inizio del quartiere universitario di San Lorenzo), scorrono piacevoli in giro per il Lazio e per l'Italia. Come l'Aurelia, che arriva fino al confine francese di Ventimiglia, e l'Appia, che si conclude a Brindisi, o ancora la Flaminia, che si snoda fino al mare marchigiano, anche la Tiburtina oltrepassa i confini regionali per immettersi in Abruzzo, costeggiando per lunghi tratti l'Autostrada dei Parchi (A24) e attraversando magnifici paesaggi che sarebbe un peccato perdersi, a così poca distanza da Roma.

Il percorso della via Tiburtina e i principali luoghi d'interesse
Partendo dalla Capitale, bisogna arrivare fino a Tivoli per cominciare a godersi un po' di strada piacevole e senza traffico. Prima, c'è solo la periferia romana, case e lunghi serpentoni di auto in coda: non un bel biglietto da visita, ma poi ne varrà la pena.
Dopo Tivoli, che sicuramente merita una sosta se non altro per una passeggiata lungo il centro storico (e, se si ha tempo a disposizione, per una visita a Villa d'Este), la Tiburtina costeggia numerosi paesi che, un po' alla volta, consiglio di vedere tutti. Vicovaro, con le sue mura ciclopiche; Mandela, citata già da Orazio e feudo degli Orsini fino al XVII secolo; Arsoli, dove fermarsi per un caffè dopo una serie di curve mozzafiato, certi di trovare altri motociclisti al bar centrale del paese; Collalto Sabino, con la sua rocca suggestiva e le case di pietra racchiuse dall'antica cinta muraria; Tagliacozzo, dove visitare Palazzo Ducale e ammirare Piazza Obelisco. La strada scorre pulita e in ordine, senza buche e con curve non impegnative... a meno di non voler dare un po' più di gas giocando con la manopola. In quel caso, occhio agli autovelox: uno prima del bivio per San Polo dei Cavalieri, altri sparsi lungo il percorso, tre di fila solo all'interno di Carsoli.
La sagra delle castagne
a Sante Marie
Si potrebbero citare molte altre soste degne di nota, anche perché il corso della Tiburtina è ancora lungo e arriva fino all'Adriatico, a Pescara. Il mio giro, di solito, si ferma a Sante Marie, piccolo paese arroccato a quasi mille metri s.l.m., praticamente disabitato d'inverno ma capace di attirare ancora tanti giovani d'estate, anche grazie alle numerose feste che, nel fine settimana, animano il centro. È uno dei classici paesi abruzzesi, chiuso tra le montagne che già da ottobre cominciano a imbiancarsi. Vale la pena una passeggiata nel verde, alla scoperta della Riserva Naturale Regionale Grotte della Luppa: un inghiottitoio nascosto tra i boschi di castagne di Sante Marie, un luogo suggestivo per un'escursione poco impegnativa ma molto interessante. Le castagne, poi, sono il prodotto tipico di queste parti dove, tra la fine di ottobre e l'inizio di novembre, si tiene ogni anno una delle principali sagre della Regione.
La via Tiburtina è da sempre un paradiso per i motociclisti, che trovano curve divertenti e paesaggi fantastici, oltre a una grande quantità di prodotti tipici da assaggiare: oltre alle castagne, la prima parte dell'Abruzzo offre ottimi funghi porcini, senza dimenticare i classici gnocchi e ai più diversi tagli di carne e dolci tipici come le nevole (o ferratelle). Per chi, come me, cerca il piacere della strada e quello della tavola, un giro in moto per queste strade è uno dei modi migliori di spendere una domenica di primavera o d'estate - anche per cercare un po' di fuga dal caldo della città. 

domenica 29 marzo 2015

Una passeggiata in moto per ripulirsi la testa. Orvinio, pizza bianca e strade franate

Il primo sabato di bel tempo della nuova primavera.
Per una volta, niente lavoro da portarsi a casa, niente documenti da scrivere, nessun impegno particolare.
Forse dovrei lavare la moto, ma chissenefrega, guarda che sole che c'è.
Decido di farmi un giro per scaricare una brutta settimana. Mi trovo a Monterotondo (RM), abbastanza vicino a dove vivo, per alcune commissioni. E visto che Monterotondo si affaccia sulla via Salaria, decido subito di lanciarmi verso le strade della Sabina, che conosco a menadito e che mi regalano sempre qualche ora di guida piacevolissima. Direzione Rieti, supero Passo Corese e prendo la via Salaria Vecchia, attraverso Acquaviva di Nerola e mi dirigo verso Scandriglia. Bisogna solo fare attenzione a qualche tratto in cui l'asfalto non è perfetto, ma non ci sono grandi problemi e la strada scorre piacevole, lenta, immersa nel verde di fine marzo. Tra un mese cominceranno a sentirsi dei grandiosi odori nell'aria, di fiori e terra e sole.
Da Scandriglia parte la Strada Provinciale per Orvinio (SP39), una strada tutta curve fantastica, che attraversa gli incredibili spazi verdi del Parco Regionale dei Monti Lucretili offrendo paesaggi che meritano assolutamente un passaggio. Sapevo che dalla scorsa estate, in seguito ad alcune frane, la strada era purtroppo interrotta. Mi fermo a chiedere a qualcuno del posto se sia ancora così.
«Sì, in teoria è interrotta», mi risponde un anziano di Scandriglia. «Ma mettono i cartelli per togliersi il problema, in realtà si passa. Certo, è asfaltata, ma ci sono un sacco di buche. Ma si passa, tranquillo»
Di solito, in casi come questi, sono il tipo che lascia perdere e torna indietro. Ma ho sotto di me una "crossover", o almeno così sembra, e poi c'è un bel sole, mica può succedere niente di male se provo a passare di lì. E infatti ne vale la pena: grandissimi scorci, verde ovunque, un silenzio quasi irreale. Fatta eccezione per alcuni cani che si lanciano contro di me, costringendomi ad accelerare per scappare, è sempre tutto ok. Brutte buche, alcuni tratti sono più simili al letto di un torrente che a una strada, ma il mio CB se la cava benissimo e piano piano passo i 3 chilometri rovinati fino ad arrivare sul versante di Orvinio.
La Strada Provinciale per Orvinio (SP39), tra Scandriglia e Orvinio
Orvinio, il borgo più alto dei Monti Lucretili, è un paesino dove si trovano sempre - e dico sempre - motociclisti al bar centrale, con cui scambiare quattro chiacchiere e consigli per itinerari nei dintorni. E poi, soprattutto, c'è il forno di Rosina, lungo la via principale: inutile scrivere l'indirizzo, basta chiedere a chiunque. Vengono persone da tutto il Lazio per l'incredibile pizza bianca di questo locale minuscolo, con l'insegna che recita semplicemente "Il forno": ben cotta, unta (anzi, untissima), con i granelli di sale al punto giusto, perfetta. Aperta con la mortadella del minimarket di fronte, poi, è un pranzo clamoroso. Devo per forza comprarne una teglia (4€!) da portare a casa, per la felicità di tutti. Due passi per il paese con la pizza in mano, come un bambino che fa merenda, passando davanti alla chiesa di Santa Maria dei Raccomandati, con affreschi di Vincenzo Manenti, e alla Chiesa di San Giacomo, sconsacrata, eretta su disegno del Bernini e anch'essa con dipinti del Manenti. Anche i borghi più piccoli e nascosti, in Italia, offrono grandi opere d'arte, più di tante grandi città del resto d'Europa.
Da Orvinio riparto per tornare a casa, ci vuole ancora più di un'ora. Prendo la via Licinese, una bellissima strada con mille curve, lunga più di 40 chilometri, che collega la via Tiburtina (subito dopo Vicovaro) alla via Salaria (all'altezza di Osteria Nuova), passando attraverso i Monti Lucretili. Un must per i motociclisti del Lazio, veramente imperdibile. Ottimo asfalto, pochissime macchine a rovinare il percorso, bisogna proprio tenere la visiera alzata per sentire tutti i profumi nell'aria.
Da Vicovaro il bello del giro è praticamente finito. Solo l'ultimo tratto della via Tiburtina prima di Tivoli regala ancora bei paesaggi e curve piacevoli, poi è il solito traffico da cui cerco solo di scappare il prima possibile, riprendendo la strada di casa, fino a Fonte Nuova. Un bel giro, in fondo solo poco più di 100 chilometri, ma vanno percorsi tutti con calma, godendosi alcune tra le strade più belle del Lazio. E si può sempre variare sul tema: dalla via Licinese al Lago del Turano è un attimo, ma questa storia la racconto un'altra volta.


giovedì 5 marzo 2015

Un paio di link per entrare in confidenza

Tanto per conoscerci meglio: potete leggere diversi miei articoli su Goloso e Curioso, rivista online di gastronomia e viaggi il cui direttore, Morello Pecchioli, vanta un'esperienza enorme nel campo della cucina e della conoscenza del territorio italiano. Nei miei articoli parlo di viaggi, sagre, cucina tradizionale, e altri temi che intendo trattare, in modo diverso ma non troppo, in questo blog. Vi consiglio di fare un salto sul sito per capire di cosa si occupa e visitarlo di continuo per avere aggiornamenti su tutte le ultime novità in tema di buon cibo, buon vino e simili.

Un altro sito che vi consiglio, per pianificare i vostri viaggi o più semplicemente le uscite della domenica, è quello del Club "I Borghi più belli d'Italia", dove sono recensiti quasi 300 borghi italiani, ognuno con la sua storia e le sue tradizioni. In genere, prima di partire per un giro in moto, consulto il sito per capire dove potrei fermarmi per una sosta lungo il percorso: non sono mai rimasto deluso, e vi assicuro che ognuno dei borghi recensiti è scelto con un livello di attenzione e accuratezza che non lascia spazio all'errore.


Ingresso al centro storico di Collalto Sabino (RI)
 
Dei borghi italiani e delle loro potenzialità ho parlato in un mio articolo di qualche tempo fa, in cui ho analizzato le possibilità che questi piccoli centri offrono al nostro Paesi in termini di occupabilità e spinta economica. Magari è un po' off-topic, ma se vi va date un'occhiata, per me è sempre un bell'argomento da tirar fuori.

Iniziamo dalle presentazioni

Prima di tutto, le presentazioni.
Mi chiamo Luca, ho 25 anni e vivo in provincia di Roma. Ho tre passioni principali che vorrei condividere con voi: la moto, la gastronomia e i viaggi. Ma le mie sono passioni che vivo in maniera "atipica", o per lo meno "non come va di moda oggi".
 
La moto. Non sono uno "smanettone", uno di quelli che coprono (o tolgono) la targa per non farsi prendere dagli autovelox. Vado in moto da quando avevo 16 anni (14 se consideriamo il primo cinquantino, un magnifico SR i.e. che a tratti ancora rimpiango). Ho avuto una epica Yamaha YBR 125, che ho guidato per 4 anni e circa 27.000 km; poi una Suzuki Marauder 250 che è stata più tempo dal meccanico che tra le mie mani; una Honda Hornet 600, dal 2010 al 2014, con cui ho percorso 32.738 km e con cui ho fatto i miei primi viaggi e mi sono tolto delle belle soddisfazioni. Poi l'ultima arrivata, una Honda CB500X: meno potente della Hornet ma, sinceramente, molto meglio per come io utilizzo la moto. Sì, perché io la moto me la godo, la ascolto vibrare senza affanni e mi piace portarla in giro senza fretta, assaporando il percorso e fermandomi spesso quando c'è un bel paesaggio che richiede una sosta. Sono un mototurista all'antica, di quelli che evitano l'autostrada e ci mettono una vita per arrivare.
 
La gastronomia. Ben vengano i programmi di cucina in televisione, prima di tutto quelli con la Parodi che mi insegna tutti i giorni a cucinare. Ma via da me i superchef o, ancora peggio, i critici gastronomici con la puzza sotto il naso. Per me la vera gastronomia è quella che sopravvive da secoli sulle nostre tavole, quella che ci invidiano in ogni angolo del mondo. È il magnifico ragù che prepara mia madre, le crespelle in brodo di mia nonna, le grandiose specialità delle sagre di paese. La ricchezza del nostro territorio che dovremmo coltivare sempre. Detto ciò, mi piace comunque sperimentare e provare nuove ricette e accostamenti, perché credo che anche la tradizione abbia bisogno di una "spinta", ogni tanto.
 
I viaggi. Sarà il mio lavoro che non mi lascia molto tempo, saranno altri motivi, ma non sono uno di quei viaggiatori che sognano le grandi mete esotiche e le spiagge tropicali. Il mio sogno è girare l'Est Europa in moto, tanto per capirci. In modo molto più accessibile, mi piace esplorare il mio territorio, in particolare i numerosi borghi del Lazio, dell'Abruzzo e dell'Umbria, che visito spesso di sabato o di domenica, quando salgo sulla mia moto e parto, di solito da solo, in cerca di nuovi luoghi e nuove strade. E, come dicevo prima, adoro mangiare alle sagre di paese.
 
Da qui nasce il desiderio di aprire un blog che parli delle mie passioni vissute in maniera atipica. Uno spazio per raccontare i luoghi più belli del Centro Italia (con incursioni fuori area), condividere itinerari e consigli per motociclisti, parlare di bei posti che vale la pena visitare - anche non in moto, chiaramente. E mi aspetto, ovviamente, suggerimenti su strade da percorrere, borghi da esplorare e piatti tipici da assaggiare.
 
Un sacco di cose da fare e da vedere. Sempre sulla mia strada.



Via Tiburtina, confine tra le province di Roma e L'Aquila